Celina Moscuzza
Se c’è un aspetto del nostro vivere quotidiano che la pandemia ha rivelato, è la difficile gestione dello spazio domestico, spesso inadatto a ospitare le molteplici attività richieste da un mondo che ci vuole sempre più agili e multitasking. Nei lunghi mesi di lockdown abbiamo trasformato la nostra abitazione in ufficio, palestra e luogo degli affetti. Ma a quale costo?
Nella sua opera Homo condòmini lupus, Celina Moscuzza (Siracusa, 1995) sembra puntare l’attenzione su questo tema. Realizzata con tecnica digitale, l’immagine è una riflessione sulla coesistenza di storie e vite all’interno di un condominio cittadino. L’architettura diventa contenitore di esperienze: alveare di microcosmi distinti e intrinsecamente connessi tra loro.